Dovendo scegliere tra il mantenere
l'equilibrio su un tronco appoggiato sopra un ruscello pieno d'acqua,
ingombro di gente in transito come una lunga fila di processionaria,
o tentare la sorte scendendo direttamente in acqua, ho scelto la
seconda opportunità.
Di sicuro effetto...
Innanzitutto non cado, anzi, il
passaggio è abbastanza leggiadro e veloce, niente sbandamenti, passi
svelti per uscirne il meglio possibile.
La processionaria guarda e ammira.
Al rientro sul sentiero, solo il
“ciaffete” e le pernacchie delle scarpe piene d'acqua sminuiscono
l'alone di gloria che mi sento addosso.
Motivo di tanto coraggio è che dal
tronco io sarei caduta, lo sapevo, lo vedevo.
Quindi meglio l'acqua nei calzini e
nelle scarpe che l'acqua nelle mutande.
Queste le avvisaglie, già al secondo
chilometro, di come sarebbe stato il secondo trail a Tallacano: umido
e selvaggio.
Un volto angelico, al ritiro di
pettorali, aveva vaticinato: “Ci sarà più fango dell'anno scorso”
.
“....e più chilometri dell'anno
scorso” penso io.
E così è stato.
Quasi due ore di pozzanghere, di fango
che si spalma per bene sotto le suole, di rocce umidicce che sbucano
dall'erba, di salite a zig zag dentro una matassa di alberi, di
borghi fantasma, con gli indigeni che ci guardano come le mucche al
pascolo vedono passare i treni, di discese da tenersi agli alberi
sperando che abbiano radici solide...
Selvaggio, umido, impantanato...però l'ho finito.
Va bene che erano solo 15 km...ma ancora sono in rodaggio..
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