martedì 8 settembre 2015

Marcialonga Moena-Cavalese

Ci stipiamo in auto in sei  alle 9 e partiamo.
E siamo: l'autista proprietario dell'auto che s'è offerto volontariamente di metterci il proprio mezzo e la voglia di guidare (bontà sua), il passeggero di destra sul sedile anteriore, debole di vescica, con l'esigenza di una visita all'autogrill ad ogni cambio dell'ora e mai una volta che la vescica si fosse coordinata con lo stomaco.

In seconda fila ci sono io, al centro del sedile, che già a Senigallia m'ero tolta le scarpe per assumere la postura da fachiro attorcigliato. Scarpe che ho dovuto rimettere e ritogliere ogni volta che si scendeva per la sosta richiesta da "vescica debole".

Alla mia destra una giovane pulzella, terrorizzata dalla mole di chilometri che avrebbe dovuto correre l'indomani. Inveisce contro l'autista da cui è stata arruolata, forse con l'inganno.
Ha fatto 20 chilometri, non si ricorda nemmeno quando ed è convinta che non sopravviverà.

Alla mia sinistra l'uomo anziano del gruppo: è venuto perchè s'è stufato di languire al caldo e vuole due giorni di fresco, dove lo metti sta, sono vent'anni che corre e se nomini una gara lui l'ha fatta, anche se piano. Ha i suoi acciacchi, ma 25 chilometri non lo spaventano.

Terza fila: se cerchi bene tra i borsoni, troverai il sesto elemento: si è immolato dandosi volontariamente disponibile per occupare quello che sembra il posto del bambino in castigo. Ogni tanto partecipa alle conversazioni, anche se è evidente che da laggiù in fondo non sente una parola e spesso non si capisce se dorme o sia svenuto per mancanza di ossigeno.

Dopo 7 ore di strada, dopo aver visto non so quanti autogrill, finalmente arriviamo a Moena ed è subito inverno. Piove e fa freddo, l'entusiasmo ovviamente ne risente.
Si va a ritirare il pettorale e ne approfitto per comprarmi un nuovo paio di scarpe, perchè quelle che ho sono palesemente al capolinea, tra l'altro ormai emanano un odore fetido: probabilmente sono in decomposizine.

Si cerca conforto dentro un paio di pub in attesa che arrivi l'ora della cena: qualcuno nei giorni precedenti aveva promesso con leggerezza che avrebbe pagato delle birre e io sto lì a ricordargli di onorare gli impegni presi: dopo 4 birre medie e la cena mi ritiro in un letto striminzito e crollo dal sonno.

Ore 7 io e la pulzella che divide la camera con me siamo sveglie ma infreddolite, abbiamo coperto il pavimento di indumenti: fuori c'è il sole ma ci saranno più o meno 7 gradi e la tentazione di correre con tutto quello che possiamo metterci addosso è molto forte.
Rimandiamo la decisione a dopo la colazione, lasciamo tutto sparso per la camera e scendiamo a vedere se l'autista, la vescica debole, l'anziano ed il bambino in castigo si sono svegliati.

A colazione ci si confronta per sapere chi di notte ha russato e chi ha dormito, niente di utile ai fini della vestizione per la gara.
Si ritorna in camera, si affronta il caos degli indumenti e prendo in mano la situazione: fidiamoci del sole e buttiamoci sul corto, il freddo è nella nostra testa, dipende solo dal fatto che veniamo da un posto troppo caldo. La pulzella si fida, anche se poi decide di mettere tutto il suo guardaroba nel sacco da far trovare all'arrivo, che non si sa mai cosa puo' succedere...

Si scende alla partenza e ci mettiamo in coda a tutti: gli uomini sono spariti, siamo io e la pulzella che continua a dire "Speriamo bene...speriamo bene...", non so se ha paura dei chilometri o di non ritrovare al traguardo la sacca che ha riempito di tutti i suoi averi.

La partenza ci coglie un po' alla sprovvista, c'è molta gente, zizagando iniziamo a prendere un ritmo anche se non so quale sia, perchè il Garmin è morto, probabilmente dal freddo, ma il dislivello è favorevole e mi pare giusto approfittarne.
La pulzella sembra scettica ma mi viene dietro, si fida. Lei ha fatto solo 20 chilometri, probabilmete in un'altra vita, io ho un'autonomia garantita solo fino a 18, quindi vediamo di fare più strada possibile prima di andare in riserva.

Ci passiamo e ripassiamo con vescica debole, poi finalmente se ne va per la sua strada, autista e bambino in castigo sono di certo molto avanti, l'anziano molto indietro. Dopo 3 chilometri sorpassiamo anche un altro del nostro gruppo, lo chiameremo settimo o il ciclista: non contento di fare 25 chilometri era già sù da qualche giorno per fare sabato una gara di mountain bike, la gara di bici non so com'è andata, per la corsa idem, dopo questo primo avvistamento, nessuno l'ha più incrociato.

Ai ristori controllo i miei segni vitali e quelli della pulzella, sembra aver preso coraggio, ma ogni tanto sembra convinta che stiamo andando troppo forte, ma basta ripeterle che "a rallentare si fa sempre in tempo, finchè si può andare è meglio andare", che se ne fa una ragione.
Al diciassettesimo chilometro, quando dopo averle chiesto per tre volte se c'era e, non avendo ricevuto risposta, ho capito che me l'ero persa.

Alla mezza maratona non ho la minima idea di quanto tempo sia passato dalla partenza, corro al buio, sono palesemente circondata da crucchi ed evito di esibirmi in un inglese maccheronico e storpiato dall'affanno della corsa.

Inizia la salita: pensavo peggio, niente di sconvolgente, mi volto per vedere se la pulzella ha recuperato, ma non mi sembra, davanti vedo vescica debole, ma è troppo lontano per fargli il torto di sorpassarlo.
All'arrivo, chiedendo a quelli arrivati intorno a me e facendo una media, decido che ho impiegato più di 2h 15'', ma meno di 2h 20'', per averne la certezza lascio che il chip faccia valere le sue ragioni in seguito.


Dopo altre piccole avventure, legate alle docce, al pasta party, a gente sparita a farsi un massaggio e soprattutto ad altre due birre, ma che non starò a raccontare, l'equipaggio rientra, nella medesima formazione, bocciando all'unanimità il piano B per il ritorno intelligente proposto da vescica debole.