sabato 10 dicembre 2011


Lo sapevo che succedeva.
Arriva il freddo, piove, il microbo è in agguato.
Gli untori ti corrono incontro con il viso d’angelo e le manine protese.
Ti ritrovi così, con gli occhi cisposi, la gola in fiamme, la lingua salmistrata, il naso impazzito e le mucose fuori controllo.
Poi tanta tosse, brividi di freddo e vampate di calore, giri per casa e vai al lavoro che sembri una lumaca schiumosa, ma non una linea di febbre.
Un raffreddore con i fiocchi: due settimane di gocciolamenti e metri quadrati di fazzoletti consumati.

Così niente corsa per due settimane e meno correvo più mi venivano fuori acciacchi e dolori vari mai sentiti prima.

Da un paio di giorni le cose vanno meglio, tanto che ieri sera un giretto l’ho fatto, ho trovato il coraggio.
E di coraggio ce n’è voluto, non perché avessi paura di passare dal “livello raffreddore” al “livello polmonite”, quanto perché non avevo voglia di sentirmi una merda.
Non avevo voglia di sentire i polmoni bruciare, di non avere il fiato, di avere le gambe pesanti, di non riuscire a respirare…

E’ stato tutto come me l’aspettavo: faticoso e orribile.
Più o meno dopo 40 minuti ero in riserva, le scarpe strisciavano per terra, la comunicazione con il compagno di corse languiva e speravo nei semafori rossi per tirare un po’ il fiato.
Arrivare alla fine è stata una liberazione, ma almeno ho ricominciato.

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