2° IAU WORLD TRAIL CHALLENGE a Serre Chevalier
12 luglio 2009, una data, per gli amanti e i praticanti dell’ Ultra Trail, da ricordare, da incorniciare, della serie “fortunato chi c’ era”, e io, come disse il principe de Curtis, ”…fortunato lo nacqui”.
Non tanto, sensu lato, per la vita, perché non ho mai vinto niente – anche perché non ho mai giocato a niente – ma perché, quel 12 luglio, c’ero! Con gli occhi, le orecchie, la passione; ma anche con il sudore, la fatica e l’ impegno perché, magari a qualche ora dai campioni, ma anch’ io, quelle montagne e quei personaggi me li sono gustati, prima e dopo.
Qui lasciamo ad altri, più competenti e preparati, le analisi tecniche e personali sui vari campioni presenti, sulla loro forma attuale, le loro aspettative e performances, passate e future, cercando di cogliere quegli aspetti umani, di colore, di socialità, che più potrebbero interessare il medio appassionato, poco catturato dall’ agonismo di specie.
Una delle cose che stupiscono, cercando la zona partenza ed immaginando, come in altri casi, di trovare un paese chiamato Serre Chevalier, si è sconcertati dal fatto che tale paese non esiste, o meglio, è un continuum di frazioni, a partire da Briancon e su per la Routes des Alpes, verso il colle del Lautaret e del Galibiér, che appartengono al grande comprensorio di Serre Chevalier, ma hanno nomi propri come Valdoise, a quota 1.300, Chantemerle a 1.400 e Les Monétier Les Bains a quota 1.500 che è la nostra destinazione, ma che non è ancora finita lì…perché di questo piccolo agglomerato di baite sulla N.91, la nostra meta sarà solo il piccolo nucleo di Prè Chabert!
Grandi spazi, ed anche espressamente per tende e camper, perché i Francesi, a questo stupendo e libero modo di approccio alla vita, tengono grandemente e con cura; vicino c’ è un torrente impetuoso e grigio, figlio dei ghiacciai soprastanti della Meije e del parco degli Ecrins, molto poetico al primo vedere, ma decisamente “rompi” le notti successive…dato che lui scende sempre e….fragorosamente, e non è messo lì dall’ Azienda di Soggiorno locale che poi, finite le feste, ne provvede a chiudere i rubinetti. Una bellissima struttura in legno, tipo palazzetto dello sport, detta Salle de Dome; la partenza di una frequentata seggiovia, che, immaginiamo lo sarà molto di più con la neve; enormi strutture in tensioattivo, montate in un giorno, per accogliere pasta-party, balli paesani, convegni, sfilate, e l’ immancabile palco per le premiazioni; stands in ogni dove di merce a noi appetibile, una accoglienza a dir poco faraonica – anche in contrasto con la spartana atmosfera paesana del Tour de la Vanoise di una settimana prima – con addirittura due sezioni divise per il ritiro pettorali: al proposito spero non vi capiti quanto successo a noi che, per inesperienza, siamo andati a ritirare il dossard, anziché presso il settore Trail des Cerces, insomma quello dei poveracci, presso lo stand IAU! Lo sguardo di sufficienza della…dame dagli occhiali tartarugati ci ha fatto sentire così visivamente anziani e obsoleti (ad acuire la inadeguatezza, la presenza, in fila dietro di noi, di un certo Ben Nephew, dagli States, anche se poi è stato ben regolato dal nostro grande Olmo…)!!!
Non abbiamo avuto il tempo di soffrire troppo di tale gaffe, perché fuori, al sole, stavano già sfilando, con le bandiere e le divise colorate, le varie nazionali partecipanti al World Challenge: Austria, Germania, Ungheria, Grecia (il loro unico atleta è arrivato solo un’ ora davanti a noi..) Inghilterra, Irlanda, Francia, Australia, Stati Uniti, Corea del Sud(sic!), Giappone, Nepal ( Daichiri and Co..), insomma un mare di colori, di volti, di atleti, grandi e meno; ma quando il tricolore è arrivato, non abbiamo potuto fare a meno di romperci, per gli applausi, le croste delle ferite alle mani riportate nella caduta della settimana prima alla Vanoise…è il caso di dire che anche noi abbiamo versato sangue per la causa??? Volti troppo noti come Marco Olmo, Virginia Oliveira e consorte (Pablo solo in veste di supporter fino alla completa guarigione, che gli auguriamo di cuore perché è un grande atleta) Cecilia Mora, che abbiamo meglio conosciuto dopo la sublime performance, l’ amico Enrico Vedilei e…udite, udite, un certo Franco Zanotti di cui va raccontato un episodio al riguardo occorso anni addietro: maggio 2004, paese di Collelongo, sulle montagne della Marsica, dove si svolge una delle più belle Ecomaratone italiane; è il sabato pomeriggio e non siamo ancora molti al ritiro pettorali; ci avvicina un timido ragazzo dalla parlata “nordica” che, con gentile argomentare chiede della gara, delle sue difficoltà, dello stare con la tenda sul posto, dato che eravamo, come solito giunti con il fedele camper; da lì a scatenare tutto lo scibile della gara e del posto, neanche fossimo il sindaco o il cittadino benemerito ( lo è ancora?) di Collelongo, ossia Ottaviano del Turco, è stato un attimo! E, già che c’ eravamo, è stata una buona occasione per sbattere in faccia al malcapitato tutte le nostre precedenti prestazioni! quel mite ragazzotto, dal nome di Franco Zanotti, il giorno dopo si è “limitato” a vincere la gara, ma senza forzare troppo…e certo, ne ha fatta di strada in questi 5 anni, da Collelongo in poi…! Quale modestia, grinta e semplicità in quel ragazzo che ieri, 14° assoluto, ha trascinato la compagine italiana al WTC!
Al mattino, verso le quattro e trenta, lo spettacolo di centinaia di torce accese dava un aspetto surreale ai luoghi; nella calca di tanti trailer non c’ era modo di sentire l’ aria frizzante della notte che si stava spengendo; due parole di Patrick Michel, il direttore di corsa, poi i volti si tendevano avanti, verso il mare di pensieri che ognuno si porta dentro nella partenza di un trail così impegnativo. Dodici lunghi chilometri in salita leggera e costante, sotto un ombrello ininterrotto di larici di cui si intravedevano solo le pericolose radici e si percepiva l’ odore resinoso, nella polvere di un letto di fiume in cui si affannavano centinaia di scarpe trail. Il nero comincia a stemperarsi nel grigio ed ecco che le frontali si spengono; gli agglomerati di baite odorose di legno e stalla come Casset, Boussardes e Lauzet sono ormai alle spalle e, dopo un ponte, si comincia a fare, finalmente, sul serio, imboccando la vecchia sterrata che porta al Galibièr, a quota 2.679 e circa 20 km di percorso compiuto. Saranno i bastoncini che finalmente si possono usare, sarà il primo dei quattro gel che mi sono ripromesso di usare nelle salite principali, sarà il fatto di pensare che forse era quella la strada delle mitiche vittorie di Coppi e Bartali, fatto stà che sono salito al famoso colle praticamente sempre al passo-corsa, superando persone affaticate, mentre il mio cuore, i polmoni e le gambe spingevano alla grande. Ristoro sulla cima, con le solite, innominabili, offerte di cibo alla francese come paté o salamìs, ma anche tutta una scelta di cose utili e gustose come datteri, uvetta, prugne, banane sbucciate e spezzettate, pan di spezie e miele. Si riempie d’ acqua il camel-back, si ingurgita qualche bicchiere di potente coca-cola, dei datteri, poi via, giù, lanciati in una infinita discesa verso i 1.750 del ponte della Charmette e del ruscelloso, pratoso e vaccoso – con gli annessi moschiferi – Plan Lachat, non prima di aver dato un cinque al bravo responsabile del Trail della Vanoise, lì presente come benévole,ed aver scambiato due parole dispiaciute con Thierry, l’ organizzatore del Mercantour, che ha provato a partire ma è stato costretto al ritiro in cima al Galibiér: certo i problemi connessi al risvolto del Merc 2009 peseranno come macigni sulla sua sensibilità di persona e di atleta e non deve essere facile,per lui, correre sui monti.
E’ domenica, in questa fresca zona prativa inondata dai ruscelli c’ è una miriade di gitanti, alcuni per vedere noi, altri per intrecciare sentieri, altri ancora solo per il classico pique-nique ( è sì, loro sono fatti così…se una parola straniera rende meglio l’ idea del corrispondente francese, viene usata, l’ importante è “barbarizzarla” in modo che assomigli a vero francese…! contenti loro..) ma nessuno si sottrae al classico bon courage , bravò, ; quando poi, dovendo affrontare la lunga salita sino al rifugio di Mottets ai 2.137 e poi, in continuo, al Col des Rochilles ai 2.496, decidiamo di togliere i manicotti ed i guanti serviti alla partenza, scatterà l’ applauso a massimò panscettì – il nome è scritto sul pettorale portato alla coscia, ma figurati se uno lo dice in italiano…- per l’ improvvisato spogliarello.
Ancora il solito gel da salita, un pezzetto di barretta alle maltodestrine e salgo come un bufalo, a testa bassa, i 700D+ di pratoso dislivello; poi Les Rochilles tengono fede al loro nome con stupende lastre di graniti rosati e rossicci, quindi, al passaggio della cima, lo sguardo è colpito dal panorama sui laghi omonimi, che si superano tramite un antico lastricato romano, dal lontano massiccio Des Cerces e dalla spettacolare vallata della Clarée con la sorgente che prende il suo nome.
Si scende facilmente, su pista larga e ciottolosa, verso il secondo ristoro , allo Chalet Laval, quota 2.040, incontrando un mare di gitanti. Qui è d’ obbligo una sosta più ponderata perché quanto ci aspetta è la parte più raid e verticale del Trail: siamo al km.39 e si salirà di circa 900D+ in poco più di 2,5 km., sino alla parte culminante del percorso, il Col ( e dai! cominciamo a pensare che i Francesi diano dignità di montagna solo agli ottomila! Non vorremmo che dopo tutta questa fatica risultasse che abbiamo solo scalato dei colli, come se fossimo in Romagna..) de Béraude ai 2.895 con le sue nevi perenni. L’ escursione sarà davvero tosta fino al lago di Bèraude, con infiniti zig-zag che tolgono il respiro, poi sarà sassosa e leggermente meno dura, per riprendere una acuta verticalità verso la cima dove la neve, ormai morbida e scalettata dai passaggi, sarà solo una piacevole, finale, ciliegina sulla torta. Qui dobbiamo purtroppo denunciare una incredibile perdita di aplomb, per un trailer serio, che si è verificata a causa di una fisarmonica di troppo: ai 2900 lei stava ritmando una polka delle vallate savoiarde per incoraggiare coloro che “ce la facevano” e questo è bastato a scatenare il giullare che, inconsciamente?, ci portiamo dentro; le gambe, i bastoncini e le braccia hanno rimontato, polkeggiando ritmicamente, gli ultimi scalini trasformandoci nel beniamino dei numerosi benevoles che erano appollaiati da ore su quella cima per vedere solo volti di agonisti incazzati o di mugugnanti e sudati atleti qualunque. Che fosse una buona giornata per noi lo dimostrano i pensieri affiorati alla mente su quella cima, non appena la polka è sfumata, …”tutto qui il Col Béraud?, ma allora che cos’ erano i ghiacciai della Vanoise di domenica scorsa e la sua acqua torrenziale…che cosa le cime ed il clima, terribili, del Mercantour di poche settimane or sono?
Ora si scende lentamente per un difficile sentiero roccioso, molto raid, aiutati dalle corde e dai volontari; poi una traccia rocciosa, appena accennata, su ganda che, in salita continua, permetterà di raggiungere, neri per la polvere come dei carbonai, le antiche miniere del Col di Chardonnet a quota 2.610 e 45 km. circa di percorso. Sembreranno un sogno i quasi 7 km. di discesa continua su prati infiniti che seguiranno…ci si potrà rilassare, bagnare il cappello nei ruscelli, guardarsi intorno per ammirare il percorso dentro la valle della Clarée…ma quando mai??? I quadricipiti prendono fuoco per lo sforzo di frenare l’ andatura, gli alluci puntano inesorabili e le pietre, nascoste dall’ erba, sono davvero insidiose.. ci pare di risentire il dialogo di tanti anni fa, ad una delle podistiche domenicali, in cui un nuovo della corsa chiedeva all’ amico esperto il perché di tanto soffrire se in salita è tutta un’agonia ed in discesa, vista l’ inesperienza, non si era capaci di godere del diminuito impegno.. e l’ esperto che rispondeva che il gusto risiede tutto nella fine, nell’ arrivo!
Al terzo e ultimo ristoro del Camping di Fontcouverte, ai 52 km. e 1.850 di quota, sentiamo la necessità di una boccata di ossigeno in più, a dimostrazione di quanto la discesa, in un Ultra Trail, non sia mai da sottovalutare; inoltre si deve affrontare l’ ultimo Col ( e dai! ) del Buffère con una ulteriore escursione di 600D+ prima della definitiva e facile ( ma quando mai? ) picchiata di 8/9 km. sulla meta finale.
La salita al rifugio Buffère prima, a 2.076, ed al colle dopo, ai 2.427, non presenterà difficoltà particolari al nostro bradicardico apparato funzionale, mentre già si porrà in evidenza il martirio della infinita discesa sino ai 1.500 di Les Monetier Les Bains, attraverso lo Chemin du Roy che, per quelli della “corta”, ha dato il titolo alle loro fatiche. Ma non sarà così terribile questa discesa, il fegato starà al posto suo e la milza non si farà sentire; l’ acqua dimostrerà la sua rassicurante presenza sciacquando dentro il camel-back ad ogni curva; gli alluci, poverini, soffriranno, ma in fin dei conti, sembrano nati apposta… ; così non sarà un grande sforzo seguire a buona andatura di corsa questo ragazzone francese che da un po’ stiamo tampinando perché scende con passo giusto per noi…Si parlotta, guardando l’ orologio, mentre i larici lungo il fiume del nostro arrivo si avvicinano, “..che dici, ce la facciamo entro le 11 ore? mancano pochi minuti ma forse…dai, continua a tirare, passa quel tipo che è finito…ok, così , vas-y !!!”..” Ultimo ponte, un pubblico numeroso ci fa le feste come se non fossimo il 220° e 221° a passare ( potranno farlo anche per tutti gli oltre 800 che seguiranno??) ma il povero transalpino sta lasciando la partita, sbanda vistosamente, l’ ossigeno carente e l’ acido lattico eccedente si stanno coalizzando in una miscela ormai imbattibile per lui, lo sfioriamo con un braccio in segno di gratitudine e si parte alla grande, con quello che resta, più che altro volontà, per gli ultimi 6/700 metri di gloria; sento i bravò massimò che mi sollevano da terra, c’è una semicurva, poi il pallone…la moglie è pronta con la fedele Nikon, lo speaker biascica il nostro nome…la t-shirt di finisher e lo stop che quasi dispiace………..poi sarà solo un mare di birra che ci permetterà di nuovo il fiato….!
Più tardi sapremo, ma sarà solo dettaglio, che nonostante il gesto eroico il tempo sarà 11:03’; che Zanotti è stato 14° assoluto e Cecilia, grandiosa, 19°; Virginia 123° per problemi di altitudine ma soprattutto che Marco Olmo, 45°assoluto, mi concederà, per la seconda volta dopo il Cro-Magnon 2008, l’ onore di un podio da dividere con lui come secondo di categoria.
Massimo Panchetti
1 commento:
Bravissimo Max, oramai ha preso il via e chi lo ferma più, appuntamento ad ottobre al suo TA
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