Mi hanno sempre colpito le espressioni e le facce di quelli
che corrono.
C’è quello che prima della partenza è normale, una faccia
qualunque, banale. Lo incroci durante la corsa e ha subito una mutazione.
La mutazione può essere di due tipi: c’è chi si trasforma in
una maschera di dolore e chi diventa un essere demoniaco.
La maschera di dolore ha la testa ed il collo tirati in
avanti come una tartaruga, ha gli occhi stretti e la bocca serrata in un ghigno
sofferto. Sembra che qualcuno lo stia pungolando sulle chiappe con un forcone.
Stringe i pugni e non respira: geme!
Il demone invece corre a bocca spalancata, a tal punto che
le guance s’infossano, l’ovale del viso si allunga, gli occhi sono aperti a
palla e, per evitare variazioni e turbolenze nell’assetto aerodinamico, non
chiude nemmeno le palpebre.
Di solito il demone è più veloce della maschera di dolore.
Poi ci sono le maschere di cera: visi bloccati ed immobili,
sguardo fisso in avanti, dietro non c’è niente, hanno azzerato le attività
neurologiche, tutti i sensi sono bloccati.
Se gli urli un incitamento non ti sentono, se gli passi
davanti non ti vedono nemmeno se alzi la maglietta e gli fai vedere le tette.
Non parlano, non hanno più un nome, solo un numero identificativo: il pettorale
di gara.
Io sono una faccia parlante: corro e chiacchiero. E come me
ce ne sono tanti.
Anche domenica a Filottrano, al trofeo Extra, tutta questa
varietà umana si è ritrovata per 13 km scarsi di corsa collinare, in mezzo alla
nebbia.
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