Ci sono cose che tutti quelli della mia generazione hanno fatto da piccoli, che ovviamente non avremmo fatto se fossimo nati anche a solo 100 km di distanza.
A parte cose scontate tipo passare l’estate al mare, tra i “must” (nel senso che non c’era possibilità di scamparla) ne cito tre:
- c’era la visita periodica alla Santa Casa di Loreto, spesso in autobus, scortati dalla nonna devota. Dopo un breve tour della basilica, l’accensione di una candela ed il passaggio in mezzo alle mura nere della casetta proveniente dalla Palestina, che, per la verità, non sembravano tanto diverse da quelle di una casa di comuni mortali, si sperava di dare un senso alla giornata con un passaggio alle bancarelle che circondavano il tempio. E mentre la nonna voleva comprarci il solito rosario, noi volevamo tutt’altro…
- gita a Monte San Vicino, meglio se nelle canoniche ricorrenze del primo maggio o ferragosto: arrivo, breve passeggiata per trovare un posto dove mangiare al sacco e qui parcheggiare i genitori, ricerca di altri bambini per “fare qualcosa” sperando che qualcuno avesse almeno un pallone. Pranzo al sacco e seconda passeggiata, per digerire e raccogliere i ciclamini (che ormai credo si siano estinti). Se si voleva variare un po’ al posto del San Vicino, ci toccava il monte Cucco: una capocchia brulla e ventosa che piace solo a quelli che si buttano con il deltaplano e simili.
- visita alle grotte di Frasassi: stalattiti e stalagmiti, grotte, cunicoli, un grande freddo e un continuo gocciolare. Delle gite alle grotte ricordo una cavità gigantesca che ti dicevano avrebbe potuto contenere l’intero duomo di Milano (“Oohohooo!! Che meraviglia…” si diceva tutti in coro) e poi che era severissimamente vietato toccare le sculture calcaree naturali altrimenti, testuali parole, “Diventano nere e non crescono più”. Quindi appena si entrava tutti lì a toccare quel piccolo mozzicone di stalattite che era a portata di mano, annerito dalla curiosità umana.
Tutte queste cose poi si smetteva di farle.
Così domenica, quando non passata sotto l’ingresso alle grotte, l’ho riconosciuto subito e mi sono rivista piccola, con i capelli legati con due ciuccetti e in coda ad aspettare di entrare.
Ero lì per una gara, il trofeo grotte di Frasassi, 12 km, sperando di scampare all’afa e di trovare un po’ di fresco, sapendo che quest’anno non sarei sopravvissuta alla solita mezzamaratona a Bologna.
In molti avevano avuto la mia stessa idea e in tanti ci siamo ritrovati a correre lungo il fiume che entra ed esce dalla montagna, quello che in milioni di anni ha formato le grotte.
Già solo per fare 5 minuti di riscaldamento ero pronta per il concorso miss maglietta bagnata, perché faceva caldo anche lì.
Nonostante tutto imposto un passo dignitoso intorno al 5/km e lo mantengo in compagnia di Giovanni fino alla metà della gare: un po’ sorpasso e un po’ mi sorpassano.
Dopo il sesto chilometro arriva l’affanno e rallento, resto per i fatti miei e concludo la gara con 1h 03’ 17’’ (secondo il mio orologio).
Raccatto l’ultimo premio disponibile della mia categoria e vado ad attaccarmi alla fontanella pubblica dell’acqua: al ristoro non c’era più nemmeno un bicchiere!!!