La 36° primavera fabrianese me la sono proprio goduta: 22 km di sana montagna, di sterrato, pascoli in fiore, di sentieri stretti e scavati dall’acqua piovana, di terra rossa e pietra bianca a gradoni.
Alla partenza siamo in quasi seicento, un popolo molto vario: c’è chi parte con gli scarponi ed i bastoncini, abbinandoli a pantaloni e camicia color cachi, chi si porta il cane, chi lo zaino con dentro i figli, chi con la tuta da ginnastica, la stessa del riposo sul divano del sabato pomeriggio…
Poi ci sono i podisti, quelli che viaggiano più leggeri con pantaloni corti, qualcuno in canottiera, quelli che proveranno a correrli questi 22 km con 800 metri di dislivello.
Eccomi, io sono tra i podisti: maglia bianca, pantaloni corti e nuovissime scarpe da trail rosse, non mi porto né il cappello né il gilet antivento per quando saremo in vetta, nessuna bottiglia per bere, né tanto meno integratori vari: ho fiducia nei ristori del Cai.
Alle 8:30 puntuali si parte e subito in salita, in poco più di 11 km dobbiamo salire da 325 m a 1125, passo la maggior parte del tempo a mettere un piede avanti all’altro, perché il sentiero è stretto e per lo più si procede in fila indiana, le punte delle mie scarpe che si alternano hanno un ritmo ipnotico, con la coda dell’occhio vedo il bordo del sentiero segnato da ciclamini e cespugli pungenti di conifere.
Al primo ristoro ci dividiamo e molti prendono la via del percorso breve da 13 km.
Noi della 22 ritorniamo nel bosco e ricominciamo a salire, anzi ad arrampicarci, un paio di chilometri per riprendere fiato ed eccoci arrivati al muro: prima un lunghissimo tratto in mezzo al bosco dove non ho nemmeno il coraggio di alzare la testa per paura di vedere quanto la salita è lunga, poi un prato verticale dove sembriamo tante formiche colorate che si arrampicano sul muro di una casa.
Qui, tra un respiro e un’imprecazione, faccio amicizia con un ragazzo, lui, mi dice, corre quasi solo in montagna, comunque quasi mai sull’asfalto, ha lo zaino con dentro l’acqua che può tornare utile, ha fatto l’Abbots Way…insomma ci intratteniamo cercando di ammazzare la salita, prima che lei ammazzi noi.
Poi finalmente siamo in cima, ora si corre in mezzo al pascolo in fiore spazzato dal vento, come al solito decapito un sacco di margherite, sento sulle scarpe lo schiocco della capocchia che decolla dallo stelo, mi sento come Heidi che rotola dai monti.
Dopo tutto questo bel divertimento si ritorna nel bosco e si inizia a scendere a capofitto.
Qui sono dolori: di gambe, di braccia…e di pancia, perché ho paura, scivolo e mi aggrappo agli alberi, il mio compagno di corsa è molto più a suo agio, si ferma ogni tanto a vedere se sono viva, negli occhi gli leggo il terrore ed il dubbio, nel caso cadessi, di dovermi soccorrere.
Lo libero da ogni responsabilità: se cado, mi lascerò morire in mezzo alla natura.
Non contenti della durezza del percorso decidiamo anche di perderci e di allungarla pure un po’, ritrovata la retta via (ma non siamo stati gli unici a sbagliare) portiamo le nostre stanche gambe al traguardo: 3 ore 14 minuti e un po’ di secondi…
Lunedì mattina le gambe erano a pezzi, facevo fatica a camminare, salire e scendere le scale…una cosa mai provata, nemmeno dopo la prima maratona.
...sono una noiosa ragazza di città...
4 commenti:
Fantastica!
Cristina non mi dire che non ti è piaciuta, impossibile, domenica c'è un TA sul Conero, a Sirolo, io ci sarò, perchè non vieni, son solo 18 km, poi SE MAGNA al ristorante
Dimenticavo
http://www.trailadventuremarche.it/?page_id=5
@Brady: sei troppo gentile
@Mitico: niente da fare per Sirolo, eravamo precettati per una 10 km. Però ho visto le foto sul tuo blog, mi sa che ci vediamo sempre sul Conero ad ottobre..
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